La decisione di rivolgersi allo psicologo per esternare un problema personale è una scelta combattuta. Ci si imbatte spesso sulla questione che in fondo ce la possiamo fare da soli, che ne sa questo estraneo più di noi rispetto a come ci conosciamo? E ancora altre domande del tipo “… gli vado a raccontare gli affari miei?”.

Tra alcune persone è radicata la credenza che dallo psicologo ci vanno i matti. Come ripete spesso la dott.ssa Maria Rita Parsi, “in genere chi viene dallo psicologo, il matto ce l’ha in casa”. Questo a chiarire che quando ci interroghiamo, ci guardiamo dentro, riflettiamo su come poter migliorare la nostra esistenza e le nostre relazioni più intime, in maniera sovente capita che riportiamo in seduta situazioni in cui, una volta districata la matassa, comprendiamo che ci stiamo imponendo di vivere e convivere in presenza di persone problematiche e che talvolta sarebbe utile che queste si mettessero in discussione. Invece lo facciamo noi, e qui la condivisione è fondamentale. Ci fa uscire da quella coltre di solitudine e di vuoto.

E’ noto che quando vogliamo cambiare qualcosa nella nostra realtà, seppure riteniamo di essere nel giusto, il cambiamento deve partire sempre da noi. Dobbiamo tenere presente che gli altri rispondono alle nostre azioni. Lo stesso pacchetto di azioni produce lo stesso pacchetto di reazioni o risposte e ciò si perpetua nel tempo sino a che noi decidiamo di proporci diversamente. Soltanto cambiando il nostro approccio riusciremmo ad ottenere feedback diversi. Questo atteggiamento di permeabilità e di apertura, è sinonimo di prosperità e salute mentale.

In ogni caso anche l’accettazione di una condizione familiare, lavorativa, amicale o relazionale disagevole fa emergere una stasi che ci blocca dentro un contesto che ci affligge. Dunque la domanda potrebbe essere perché ci leghiamo con alcune persone o come mai ci coinvolgiamo in taluni contesti. Una chiave di lettura diversa rispetto ai nostri atteggiamenti potrebbe porre fine a tanti tormenti.

Talvolta gli eventi nelle nostre vite, come lutti, malattie, traumi, abbandoni, o anche situazioni nel quotidiano, finiscono per protrarsi talmente alla lunga che possiamo sentire anche a livello corporeo che ci stanno drenando tutte le nostre energie. Situazioni ridondanti o ruminazioni psichiche che non ci lasciano sereni e che veicolano o monopolizzano ogni nostra scelta. Dunque si tratta di analizzare in profondità questi vampirismi e consapevolmente agire di conseguenza.

Delle volte siamo di fronte a decisioni che dovremmo prendere ma che non riusciamo. Conflitti interiori, abbiamo paura di sbagliare, temiamo le conseguenze, oppure chissà gli altri cosa potrebbero pensare di noi, o ancora, mi dispiace ferire l’altro, e queste elucubrazioni restano imprigionate all’interno dei nostri pensieri e lavorano sui sensi di colpa sia verso gli altri che verso noi stessi. Talvolta la sensazione di impotenza o di incapacità di agire fa leva sulla nostra autostima ed oltre ad incolparci, ci debilita psicologicamente ma anche fisicamente.

Dunque richiedere il sostegno di uno psicologo o di un professionista dell’aiuto, potrebbe indurci a fare chiarezza, a sistemare i pezzi del nostro puzzle interiore, ma anche a costruire, o ricostruire una narrazione più accettabile del nostro vissuto attraverso chiavi di lettura che ci liberano, che non ci condannano più.

Lo psicologo certamente non ha la chiave per risolvere tutti i problemi, il “tuttologo” non esiste ma nemmeno l’Azzeccagarbugli del XXI secolo. Lo psicologo non ha nemmeno la sfera magica dove leggere le risposte ai molteplici interrogativi. Intanto dobbiamo necessariamente tenere presente che ci stiamo rivolgendo ad una persona, e questo di per sé è un arricchimento. Difatti, durante lo svolgersi del nostro percorso nel quale ci stiamo ricavando finalmente uno spazio per noi, si creano delle dinamiche di accoglienza, di fiducia, di apprendimento, di ascolto, di supporto, di verifica, di confronto e anche di affetto. Un posto tutto nostro dove provare ad essere veramente chi siamo ed esternare senza paura di essere giudicati. Durante questo cammino l’apprendimento e l’arricchimento è reciproco, poiché anche lo psicologo prova o ha provato sentimenti, emozioni o situazioni di vita simili al cliente che ha davanti.

Qualcuno si reca in seduta per mostrare agli altri che lui/lei, il suo percorso lo ha fatto e che non c’è niente altro da fare. Questo è chiaramente un atteggiamento giustificativo che nulla a che vedere con la reale volontà di uscire dall’impasse. Altre persone invece hanno solo bisogno di essere ascoltate, di lamentarsi, di tirare fuori frustrazioni e disagi, ma senza una concreta volontà di confronto verso il cambiamento. Anche quest’ultima è una modalità, in un mondo di cattivi ascoltatori e ancora più di sordi assoluti, essere ascoltati e quindi ricevere un riscontro che ci valida, è più che mai terapeutico.

Può succedere che pensiamo di aver esaurito il nostro percorso di sedute, possiamo parlarne con il professionista ed eventualmente congedarci serenamente. Poi essendo la vita un continuo divenire, qualcosa torna a turbarci, una crisi ci scompensa, e allora sentiamo di avere necessità di un nuovo confronto, di un diverso punto di osservazione, e torniamo dallo psicologo.

Un altro aspetto da non sottovalutare è anche l’analisi della conoscenza che abbiamo di noi stessi.  Nelle nostre riflessioni in solitudine o attraverso la nostra voce interiore capita che ci ancoriamo allo stesso ragionamento perché ci sembra che tutte le possibili vie da percorrere non esistano, o non sono attuabili. Invece potremmo scoprire che tante altre soluzioni sono possibili. Soprattutto se diversifichiamo il nostro modo di guardare al problema, allora scopriamo che proprio i nostri pensieri ci hanno chiuso in quella gabbia. Impariamo a conoscerci sul serio, a capire i nostri criteri selettivi, ossia proprio quegli automatismi che ci possono imprigionare negli stessi meccanismi che si ripetono e che ci fanno soffrire.

Alla fine del percorso potremmo anche scegliere di non cambiare nulla, ma a quel punto, sarà pur sempre una scelta consapevole.

Dott.ssa Elisa Orlandi